I media, cultori della morte, istigano al suicidio
La cultura della morte, in nome della (falsa) autodeterminazione dell’individuo, si adopera a promuovere il suicidio dei soggetti più fragili, quelli malati, disabili, o in età avanzata. Parallelamente, l’intensità delle campagne di prevenzione del suicidio – anche di persone sane – è diminuita.
La tragica morte dell’ingegnere di Cuneo è solo la punta di un inquietante iceberg.
Ne parlava il noto bioeticista Wesley Smith, su National Right to Life, citando il lavoro dello psicologo Aaron Kheriaty, nel numero di agosto / settembre della rivista First Things, in un articolo intitolato “Morire di disperazione“.
La causa dell’aumento dei tassi di suicidio, dell’abuso di droga e della depressione è la “frammentazione sociale”.
Dagli anni ’80, la solitudine tra gli adulti negli Stati Uniti è aumentata dal 20 al 40% e l’isolamento sociale è stato annoverato tra le emergenze sanitarie, al pari delle malattie cardiache o del cancro.
Se poi il suicidio (assistito) viene promosso come un “bene” dai mezzi di comunicazione e dalla legge, la cui funzione pedagogica è determinante, la situazione certamente si aggrava. Subentra poi l’effetto Werther, lo spirito di emulazione, soprattutto tra i giovani. Perciò la grande risonanza che i media danno al suicidio assistito è essa stessa istigazione al suicidio.
Basterebbe confrontare la copertura mediatica che ha avuto la vicenda di Brittany Maynard (celebrata in lungo e in largo, in tutti i modi e per molto tempo, per il suo suicidio) e quella che ha avuto Maggie Karner che ha testimoniato di voler lottare per la vita fino alla fine, oppure quella che ha avuto Lauren Hill, un’altra giovane donna morta naturalmente, combattendo contro lo stesso cancro che aveva la Maynard : le hanno dedicato in tutto 196 parole, ha contato Kheriaty.
Gli stessi media, cultori della morte, sono poi quelli che favoriscono – alla radice – quella frammentazione sociale di cui parla Kheriaty: sono la cassa di risonanza dell’ideologia “sovra-statalista” e totalitaria oggi sempre più potente, in quei Paesi che ancora si dichiarano a parole democratici: quel totalitarismo del “Grande Fratello” che tende a schiacciare e distruggere i corpi intermedi: in primis la famiglia, e quindi la nazione. Sradicato dalla comunità, l’individuo è sempre più solo. Diviene inevitabilmente incapace di adempiere a quei doveri inderogabili di solidarietà che ci impone anche l’art.2 della nostra Costituzione.
Senza una dimensione comunitaria non può esserci solidarietà. Senza solidarietà c’è soltanto solitudine, depressione, e quindi voglia di suicidio.
Francesca Romana Poleggi
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