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.................... LA BUONA NOTIZIA DI OGGI ...............

RISUONERA'  LA  VITA ...



Al Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli, 
riceviamo le persone al primo trimestre di gravidanza, 
quando abortire è ancora possibile, senza appuntamento.
Non sappiamo, infatti, quando la donna sarà presa 
da quel momento di angoscia che richiede la disponibilità completa 
di un operatore, capace di mettere in atto 
quell’arte dell’ascolto che caratterizza il nostro metodo.

L’ascolto attivo è in grado di creare la relazione d’aiuto; 
quella relazione, diversa da tutte le altre, 
che mette in grado di contenere da parte del professionista 
e di essere contenuto da parte dell’utente.
Si contengono le ansie che tanto disordine mettono 
nel cuore e nella mente.
Così, a volte, ci ritroviamo il corridoio pieno di donne 
in attesa del colloquio e noi operatori presi d’assalto.
Per tutte ci proponiamo di fare progetti di aiuto a livello psicologico
e anche a livello materiale.
Esistono, poi, le condizioni avverse, 
quei momenti che diventano sempre più frequenti 
in cui vengono meno i fondi assegnati da Regione Lombardia e, 
a quel punto, i salti nel buio non si contano.

Mese di luglio, non tanto caldo per fortuna!
Nella stanza dei colloqui sto portando a termine un incontro 
che ha assorbito tanto delle mie energie.
Manuela, una delle nostre psicologhe, bussa alla porta:
“Ho incontrato una signora che non fa che piangere.
E’ incinta alla ottava settimana e ha già un’altra figlia, 
Veronica, di quattordici mesi.
Il marito ha perso il lavoro e, da molto tempo, 
non riescono a pagare l’affitto.
E’ andata dall’assistente sociale del piccolo comune 
appena fuori Milano dove abita e, questa signora, 
le ha proposto di farsi accogliere in una comunità.
Lei ha una gran paura di poter, accettando, 
perdere la sua bambina e ha rifiutato.”

A questo punto le minacce:
“Se mi dovesse capitare di vederla per la strada, 
magari di sera, con la bambina 
perché l’hanno buttata fuori di casa, 
farò una segnalazione.”

Giovanna decide, quindi, di abortire, di trovarsi un lavoro che, 
incinta, non potrebbe mai ottenere 
e di cercare un’altra casa lontano da lì.
Poi i ripensamenti, le confidenze con le conoscenti 
e un’amica le segnala la possibilità di venire da noi.
E siamo al colloquio con Manuela che sente la storia di Giovanna come cosa troppo pesante da mettersi sulle spalle.
“Non vorresti intervenire tu che riesci sempre 
a trovare una soluzione?” 
mi domanda Manuela quasi a lanciare un S.O.S.
Come tirarmi indietro?
Le vado incontro e le stringo la mano:
“Lei è Giovanna, vero? Io mi chiamo Paola e ho ascoltato 
un racconto quasi incredibile da Manuela. 
Vogliamo parlarne?”
Mentre si siede sul divano, mi guarda, quasi mi scruta.
“Lei è un’assistente sociale?” 
mi chiede impaurita.
Presento, allora, il CAV raccontando che il nostro compito 
non è quello di fare segnalazioni:
“Cerchi di mettersi tranquilla, Giovanna! 
Siamo qui solo per tentare di darle una mano. Si fida?”
“Credo di potermi fidare – mi risponde meno allarmata – 
ma lei deve capire che mi hanno fatto tanta paura. 
La mia bambina, Caterina, è ciò che di più prezioso ho al mondo!”

Vorrei dirle che anche il piccolo bimbo che porta in grembo 
è suo figlio allo stesso modo ma vi rinuncio.

Non è tempo di sermoni, è il tempo prezioso dell’ascolto empatico.
Così mi racconta ciò che in parte so già: 
nessuno dei due è occupato, 
anche se lei si impegna per un piccolo lavoro 
come venditrice di prodotti cosmetici, 
da tanti mesi non pagano l’affitto, 
la proprietaria dell’alloggio fa di tutto per obbligarli ad andarsene mettendoli in serie difficoltà pratiche, 
e che sono spaventatissimi e vorrebbero venire via 
il più presto possibile.
“E di questo figlio che aspetta, cosa mi dice?”
La vedo un po’sperduta:
“Nelle condizioni in cui mi trovo credo di non poter 
far altro che abortire.”
Mi pianta addosso due occhi gonfi di lacrime.
“Noi, però, vorremmo darle una mano 
perché le sue condizioni cambino.
Abbiamo una casa di accoglienza, bruttissima in questo momento.
Dobbiamo fare lavori di ristrutturazione 
perché ci si possa tornare a vivere bene.
Potremmo metterla a vostra disposizione se vi accontentaste 
e penseremmo anche al vitto per tutti e tre.”
“Mio marito è qui fuori, posso chiamarlo?”
“Mi sembra assolutamente indispensabile 
visto tutte le decisioni da prendere.”
Conosco, quindi, Antonio. 
Non è molto loquace ma ascolta attentamente.
Quando per la terza volta insisto sul fatto che la casa è in disordine, interviene con forza:
“La casa in disordine potrebbe essere messa in ordine. 
Per gente come noi, in mezzo alla strada, 
sapere di poter vivere senza l’angoscia di maltrattamenti, 
anche morali, è una grande occasione.
Potrei imbiancarla, sistemare ciò che non funziona, 
so fare un po’ di tutto. 
Me ne occuperei molto volentieri.”
“E il bambino che aspettate?” 
torno a dire con una certa insistenza.
“Perché rifiutargli la vita se possiamo vivere 
con una certa tranquillità?
Perché pensa che mia moglie stia piangendo?
Se davvero il vostro aiuto ci sarà, come credo, 
anche nostro figlio potrà arrivare tra noi.”
Guardo Giovanna; 
le sue lacrime ora le rigano il viso quasi inondandoglielo.
“Giovanna, mi pare che stiamo arrivando a una conclusione positiva. Perché tutte queste lacrime?”
Tra i singhiozzi riesce a dirmi:
“Non riesco ancora a credere di poter vivere al sicuro. 
So, però, che ciò che lei ci sta proponendo, è vero. 
Le mie sono lacrime di gioia!”
In questi due mesi, Antonio ha imbiancato tutta la casa 
che ora è pronta anche per accogliere un’altra famiglia, 
incontrata in condizioni simili alle loro.
Quella casa risuonerà di gridolini, 
pianti di neonati, 
risatine dei fratellini maggiori.................

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