Veronesi riscrive in scena il Vangelo: 
“Il mio Gesù è un combattente”

Spoleto: l’autore diventa attore 
per dare “corpo e voce” al testo di Marco

di MICHELA TAMBURRINO

 In principio fu Dario Fo e il suo Mistero Buffo. 
Poi venne Benigni con i Dieci Comandamenti. 
Ora abbiamo Sandro Veronesi, celebrato autore, 
che indaga il complesso mondo biblico. 
Con una lucidità perfino istrionica, 
al pari dei suoi predecessori. 
Il che potrebbe far ritenere che i non credenti 
siano più addentro alle cose di fede rispetto ai praticanti.  

Al Festival di Spoleto si è parlato di tanto, 
della sua giovinezza velata da un presagio costante d’infelicità, 
della sua amata Juventus, 
del rapporto complesso con il padre che gli oscurava la vista, 
della seconda moglie che lo ha rassicurato 
ironizzando sulle sue cupezze, 
dei cinque figli, della svolta di Caos calmo 
che nel 2006 gli consegnò il Premio Strega 
e che poi fu gran successo anche al cinema.  

In una sala stracolma per gli «Incontri di Paolo Mieli» 
e dopo aver preso le parti di Papa Francesco, 
argomentando sui significati profondi delle frasi 
solo apparentemente semplici del Pontefice, 
Veronesi ha dato faccia e sentimenti al suo one man show. 
Non dirlo (Il Vangelo di Marco), 
è l’ordine che Gesù fa seguire a ogni miracolo, 
è il segreto svelato della sua personalità, 
la trama della sua avventura terrena. 
Una preghiera laica che pretende ascolto, 
è la drammaturgia del Vangelo più antico, più breve, più efficace, 
persino il più teatrale, lo stesso che fu distribuito 
a un milione di famiglie romane da Papa Giovanni Paolo II 
per la preparazione al Giubileo.  

Così dopo il libro dallo stesso titolo (edito da Bompiani), 
succede che c’é bisogno d’altro, di qualcosa di più. 
«È accaduto che per la prima volta, oltre a metterci la faccia 
ho voluto metterci anche il corpo. 
Mi ispiro ai predicatori e il fatto stesso di farlo 
non so se possa essere considerato cosa giusta 
- questo diceva a pochi minuti dall’entrata in scena -. 
Chi si aspetta del teatro rimarrà deluso, 
io dò il teatro come luogo fisico e basta». 
Il luogo fisico è evocativo, nel caso del debutto spoletino 
è la chiesa sconsacrata di San Simone 
che ha ospitato illustri amici e familiari 
(Domenico Procacci, Kasia Smutniak, 
Giovanni Veronesi, Valeria Solarino), 
ma il tour invernale sarà lungo e comprenderà 
oltre alla Milanesiana (ieri) 
anche Roma e Torino. 

E ispirandosi ai predicatori, Veronesi ha completato un lavoro 
«che non finisce con la scrittura, c’è bisogno della fase orale. 
I Vangeli vanno predicati, ci va corpo e voce, 
è il seme del teatro che in letteratura non c’è». 
Ecco allora il Gesù di Marco che tanto affascina Veronesi 
e che «se mi fosse stato raccontato così forse avrebbe reso 
più problematico l’allontanamento», 
un Cristo combattente, con una forza attiva 
che lo pone agli antipodi dell’immagine 
pacificata e consolatoria degli altri vangeli.
Il più spoglio e il più compatto, 
solo gli insegnamenti e solo gli atti, 
«ne esce un eroe ellenistico adatto al popolo romano, 
duro da convertire».  

Il pubblico ci sta e applaude la citazione 
della preghiera sommessa di Leonard Cohen, Suzanne, 
quell’Apocalisse «e Gesù fu marinaio...» 
che Fabrizio De André ci ha fatto conoscere meglio. 
Fino all’ovazione per 
«il sangue di un innocente 
ci ha riscattato dal nostro nulla». 

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