La carovana di aiuti tra le tende di Idomeni
Hanno superato il blocco della polizia greca e portato generi di prima necessità ai migranti al confine con la Macedonia
Festa improvvisata a Idomeni
© LaPresse
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Hanno lasciato il segno a Idomeni, nella megatendopoli della vergogna europea, come lungo le strade di Salonicco, seconda città della Grecia che annaspa nella crisi. E di notte si sono imbarcati a Igoumenitza nel traghetto «veloce» che oggi pomeriggio arriverà a Ancona. Già pronti a raggiungere il confine del Brennero, dove domenica è in programma la nuova iniziativa di #Overthefortness.
In poco meno di 300 hanno partecipato alla carovana che ha attraversato il sottile confine fra Europa e altri mondi, diritti sulla carta e disperati esodi, governi di palazzo e persone abbandonate lungo un binario morto. È un viaggio che sarà difficile da dimenticare. Ciascuno riporta in Italia ciò che ha visto di persona, toccato con mano e ascoltato senza guardare uno schermo al plasma. Tutti testimonieranno e nessuno dimenticherà.
Fino all’ultimo gli «artigiani» sono rimasti a Idomeni, nel cuore di un campo profughi dove sopravvivono oltre 11 mila «fantasmi» – per lo più siriani e curdi – che la Macedonia non vuole e Atene ha abbandonato lungo la ferrovia al confine. Il drappello ha lavorato per illuminare finalmente l’area di fronte ai bagni chimici, garantire un po’ più di elettricità e «saponette» wi fi, regalare un generatore alla tenda infopoint, montare un gazebo anche a beneficio dei bambini. E sono ripartiti con la lista di nuovi impegni concordati con Medici senza frontiere, volontari e ong «di base».
Contemporaneamente davanti alla prefettura di Salonicco sono arrivate le altre pettorine arancioni della carovana. Con la rete studentesca Antarsya e i migranti dell’orfanatrofio occupato di Salonicco hanno richiamato l’attenzione sulle conseguenze del recente accordo fra Unione europea, Grecia e Turchia. Poi in corteo hanno attraversato la città all’insegna dello slogan No borders, no nations.
Ma è impossibile archiviare in fretta la giornata di domenica. Sintetizza Tommaso Gregolin di Melting Pot che ha coordinato “sul campo” le iniziative di #Overthefortness: «Arrivare così in tanti al campo di Idomeni ha creato un sacco di aspettative. E qualcuno molto stupidamente aveva fatto girare la voce che avremmo fatto varcare il confine che, invece, resta sempre blindato. Così all’inizio c’è stata molta agitazione, perfino fra alcune ong. Ma alla fine abbiamo semplicemente fatto quello per cui siamo venuti: distribuire tutto il materiale raccolto in Italia e realizzare nuovi servizi indispensabili. E dai migranti e dai volontari abbiamo ricevuto apprezzamento per come ci siamo comportati, al di là delle sciocchezze rimbalzate in televisione».
Del resto, insieme agli attivisti dei centri sociali del Nord Est e delle Marche si sono rimboccati le maniche studenti di Parma, siciliani NoMuos, il «team legale», gli amici del Baobab, la delegazione di Welcome Taranto, l’associazione lgbt Anteros, la Federazione europea dei giovani Verdi, interpreti di arabo, sanitari, insegnanti e le donne della carovana per i diritti dei migranti (che partirà da Torino il 2 aprile per concludersi a Palermo il 18).
Ma domenica di Pasqua i bus della carovana sono stati bloccati sul ponte dalla polizia greca in assetto antisommossa. Tre ore di inspiegabile «respingimento» della stessa carovana che sabato pomeriggio aveva già raggiunto il campo. Sull’asfalto schierati polemicamente gli scatoloni di medicinali, decine di paia di scarpe, coperte, vestiario. Generi di prima necessità che intanto arrivavano anche nei «campi satellite» di Policastro.
Alla fine, #Overthefortness ha guadagnato l’accesso alla stazione ferroviaria e da lì, con i furgoni, dentro la tendopoli. Finché c’è stata luce la distribuzione si è alternata tenda per tenda, ma anche nella zona delle vecchie stalle con i tetti d’amianto. I bambini (che rappresentano il 40% dei «residenti») hanno giocato, disegnato, corso e scherzato. Le donne hanno ricevuto sostegno, non solo materiale. Gli uomini hanno confessato le conseguenze atroci della guerra in Iraq, Siria e Afghanistan.
«In due giorni al campo ho scattato adesso solo questa…» ammette con il cellulare in mano e gli occhi lucidi Stella. Con Barbara e Valentina per settimane hanno scommesso su questa “missione popolare” che è diventata un piccolo grande miracolo di auto-organizzazione, consapevolezza e disciplina. Sembrava un azzardo per pochi “militanti”. È diventata una risposta imprevedibile, dopo le prime 150 iscrizioni. Sarà una lunga eco, ben oltre i riscontri immediati nei social.
«Scrivete di questo posto dimenticato da tutti, tranne che da chi rivendica libertà di movimento e movimento in libertà» esige il pastafariano Jacopo che si è già scatenato nella sua testimonianza sul limbo dell’umanità di Idomeni. Ha lasciato un segno. Sulla carovana delle pettorine arancioni. È il timbro invisibile nel passaporto di migliaia di profughi e migranti. Il segno manifesto dell’indelebile vergogna d’Europa.
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