Perché sei venuto a disturbarci?
In margine al viaggio di Papa Francesco a Lesbo
Ricordiamo la scena: il vecchio Inquisitore vorrebbe che il condannato che ha di fronte gli dicesse qualcosa, anche di amaro, di terribile, perché il suo silenzio gli pesa. Il prigioniero l’ha ascoltato guardandolo fisso negli occhi con uno sguardo dolce e penetrante. Ed ecco, il prigioniero che è Cristo stesso, si avvicina all’Inquisitore in silenzio, e lo bacia dolcemente sulle vecchie labbra esangui. Questa è tutta la sua risposta.
IL “GRANDE INQUISITORE” DI DOSTOEVSKIJ
Così cala il sipario su uno dei testi più alti della letteratura russa di tutti i tempi, la “Leggenda del Grande Inquisitore” incastonata nella seconda parte, nel V libro, nel V capitolo di quel capolavoro che sono I fratelli Karamazov di Dostoevskij. Lo scrittore russo completò queste pagine un paio di anni prima della sua morte: era il 1879, ed egli stesso confessava che questo era il “culmine” del romanzo.
Cristo, tornato sulla terra, viene interrogato e contestato nel carcere dell’Inquisizione della Siviglia del XVI secolo. La prima e fondamentale domanda dell’Inquisitore a Cristo è: “Perché sei venuto a disturbarci? Lo sai anche tu che sei tornato a disturbarci”. E l’ultimo, violento ammonimento sarà: “Vattene e non venire più, non venire mai più, mai, mai!”.
LA “PEDAGOGIA DEI GESTI” DI PAPA FRANCESCO
Questo racconto mi è tornato alla mente mentre seguivo le immagini che mostravano la storica visita papa Francesco a Lesbo. Un viaggio fortemente voluto, segnato da quella “pedagogia dei gesti” che rappresenta una chiave di volta per capire questo pontificato, ma che ha messo in mostra la distanza tra ciò che la fedeltà al Vangelo esige e le scelte della politica mossa da un sentire comune segnato da diffidenze e paure. Un viaggio “triste”, nel luogo simbolo del dramma dei profughi: “la catastrofe umana più grande dalla Seconda Guerra Mondiale”. Un viaggio condiviso con Bartolomeo, Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, per dire, nei fatti, che sul corpo di Cristo che è il povero e il disperato i cristiani si ritrovano e si ricongiungono al di là delle differenze storiche ed ecclesiologiche. Un viaggio che mette al centro lo scontro tra paura e solidarietà che sta investendo il nostro continente europeo e le sue istituzioni.
L’ACCOGLIENZA NON BASTA
Lo sappiamo: non basta l’accoglienza, serve anche l’integrazione, non bastano i segni serve le scelte di lungo periodo. Lo sa bene anche papa Francesco che nell’incontro con la cittadinanza di Lesbo, ha elogiato la Grecia (le istituzioni e la popolazione), che nonostante la grave crisi economica e finanziaria si è fatta carico della solidarietà verso i migranti. Ha parlato all’Europa, richiamando i suoi ideali. Ha riconosciuto le preoccupazioni “legittime e comprensibili” dei governi e della gente per questo esodo incontrollato, ma ha ricordato come lo spirito di fraternità, di solidarietà e il rispetto per la dignità umana hanno contraddistinto la sua lunga storia. E a tutti, che “l’Europa è la patria dei diritti umani, e che chiunque metta piede in terra europea dovrebbe poterlo sperimentare, così si renderà più consapevole di doverli a sua volta rispettare e difendere”.
PAPA FRANCESCO VUOLE DISTURBARCI
Papa Francesco, in nome del Vangelo, è andato a Lesbo per disturbarci. Ora tocca alla politica fare la parte che le compete. Bene ha scritto Enzo Bianchi: “Tocca piuttosto a governi e istituzioni sovranazionali, tocca ai cittadini dei paesi con maggiori risorse, tocca a ciascuno di noi smettere di applaudire chi ci ricorda i nostri doveri di umanità e passare ad agire secondo quella regola aurea che non conosce muri né mari né frontiere: fai all’altro quello che vorresti fosse fatto a te. Perché, come ha ricordato il patriarca Bartholomeos, «il mondo sarà giudicato dal modo in cui avrà trattato i profughi».
Quei profughi che ricordava il tweet lanciato da Francesco poco dopo il decollo da Roma: “Non sono numeri, sono persone: volti, nomi, storie, e come tali vanno trattati”.
Commenti
Posta un commento