Chi era il pescatore Simone detto Pietro? Che ruolo ebbe nella fondazione della Chiesa cristiana ? Perché è ricordato come principe degli apostoli? Che cosa ci faceva a Roma? È stato lui il primo Papa? Queste ed altre domande ZENIT le ha rivolte a fra Germano Scaglioni, docente di Nuovo Testamento e vice preside della Pontificia Facoltà teologica “San Bonaventura” Seraphicum.
Chi era Simone detto Pietro ?
Secondo il Vangelo di Marco, egli è anzitutto l’umile pescatore di Galilea che Gesù “trasformò” in pescatore di uomini (Mc 1,16-17). Originario di Betsaida (Gv 1,44), villaggio sulla sponda settentrionale del lago di Galilea, abitava però a Cafarnao, dove possedeva una casa, in cui viveva insieme alla moglie e alla suocera (Mc 1,16-30). I suoi compaesani lo conoscevano come Shimon bar Iona, Simone figlio di Giona (Giovanni), nome con cui viene ricordato anche nel Nuovo Testamento, soprattutto quando si descrive la sua vocazione (Mc 1,16; Lc 5,8). Ma Gesù gli impose un nome nuovo: «“Tu sei Simone, il figlio di Giovanni: sarai chiamato Cefa” – che significa Pietro » (Gv 1,42). Kēpha (“roccia”) era il suo appellativo aramaico (Kēphas nella forma grecizzata), ma più spesso ricorre la sua traduzione greca, Petros, che significa “Pietro-Roccia”, con cui si evocava la sua speciale missione nella Chiesa. L’apostolo, dunque, è passato alla storia non solo (o non tanto) con il suo nome di origine, Simone, ma con “Pietro”, il soprannome datogli da Gesù che la comunità cristiana trasformò in nome proprio. Il suo percorso di vita e di fede si colloca tra la chiamata di Gesù, avvenuta mentre insieme al fratello Andrea gettava le reti nel “mare di Galilea” (Mc 1,16-18), e il martirio a Roma. Tra questi due poli, si svolse la sua esistenza al seguito del Maestro di Nazaret che annunziava il Regno di Dio, invitando alla conversione (Mc 1,14-15). È solo alla luce del riferimento a Cristo, infatti, che si può comprendere il mistero della persona e della missione di Pietro, a servizio del Vangelo e della Chiesa.
È vero che non sapeva né leggere né scrivere?
Nel Libro degli Atti degli Apostoli si riferisce di una comparizione di Pietro di fronte al Sinedrio, il supremo tribunale di Israele che aveva sede a Gerusalemme. Interrogato su come fosse avvenuta la guarigione di un infermo presso la porta Bella del tempio (At 3,1-10), l’apostolo tenne un discorso sulla morte e risurrezione di Gesù (4,1-22): pur non credendo alle sue parole, i sinedriti rimasero stupiti, perché ai loro occhi, Pietro appariva come un semplice popolano (idiōtēs), senza istruzione (agrammatos).
Per alcuni studiosi, però, questo giudizio rivelerebbe più il disprezzo delle autorità religiose nei confronti delle persone del popolo che non la realtà storica. Detto altrimenti, Pietro potrebbe essere stato un analfabeta (all’epoca non era inverosimile per un pescatore), ma non si può escludere che avesse un’istruzione, per quanto “popolare” o modesta. Con buona probabilità, ricevette la sua formazione professionale dal padre, mentre quella religiosa gli derivò dalla frequentazione della sinagoga.
Perché il Signore lo scelse come suo primo discepolo?
Difficile rispondere, poiché siamo di fronte al mistero insondabile della volontà di Gesù. Di certo, per gli autori dei Vangeli (e non solo), Pietro non era un discepolo qualsiasi. Il suo nome è sempre il primo nelle liste in cui si ricordano i nomi di coloro che seguirono Gesù più da vicino. Egli ha riconosciuto e rivelato l’identità di Gesù: «Tu sei il Cristo» (Mc 8,29); è colui al quale Gesù si è rivolto, dicendo: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa. A te darò le chiavi del Regno dei Cieli» (Mt 16,18-19). I vangeli non passarono sotto silenzio la sua debolezza umana durante la passione di Gesù – il triplice rinnegamento e la sua assenza al Calvario –, ma ricordarono anche che egli fu tra i primi ad accorrere al sepolcro, trovandolo vuoto, e fra i testimoni privilegiati delle apparizioni del Risorto. Subito dopo l’ascensione di Gesù, una volta ricevuto lo Spirito Santo, Pietro prese la parola e con grande coraggio annunciò la risurrezione di Gesù, alla folla riunita a Gerusalemme in occasione della Pentecoste, esortando al pentimento e al battesimo. In seguito, lo si trovò spesso impegnato nella soluzione di questioni riguardanti la vita delle comunità cristiane, che gli riconobbero una particolare autorità. In più occasioni, Pietro diede prova di intelligenza pastorale; attento alle diverse sensibilità della compagine ecclesiale, fu sempre animato da grande spirito missionario.
Come e perché venne nominato a capo dei dodici apostoli?
«Primo, Simone, chiamato Pietro»: così Matteo apre la lista dei Dodici (Mt 10,2-4). L’elenco degli apostoli compare anche in Marco (3,16-19), in Luca (6,14-16) e nel Libro degli Atti (1,13-14): si notano differenze, ma vi è unanimità nell’attribuzione a Pietro del primo posto nella lista. Il fatto non può essere casuale: la scelta degli agiografi corrispondeva a un’indicazione di Gesù, recepita dalla tradizione ecclesiale e sottolineata più volte nel Nuovo Testamento. La questione è sintetizzata in modo efficace in un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede: «Pietro fu costituito espressamente da Cristo al primo posto fra i Dodici e chiamato a svolgere nella Chiesa una propria e specifica funzione. Egli è la roccia sulla quale Cristo edificherà la sua Chiesa; è colui che una volta convertito, non verrà meno nella fede e confermerà i fratelli; è infine il Pastore che guiderà l’intera comunità dei discepoli del Signore» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Il primato del Successore di Pietro nel mistero della Chiesa. Considerazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede, LEV, Città del Vaticano 1998, n. 3). Un’ulteriore conferma del prestigio che circondava la sua figura nella Chiesa delle origini è significata dalle numerose menzioni del suo nome nei Vangeli e negli altri scritti neotestamentari. Non solo, nel Nuovo Testamento, due scritti portano esplicitamente il suo nome: la Prima e la Seconda Lettera di Pietro.
Cosa ci faceva a Roma?
Protagonista nella vita della prima comunità cristiana, dopo un’intensa attività apostolica, Pietro raggiunse la capitale dell’Impero. Ormai da tempo, tra gli studiosi, il suo ministero a Roma è oggetto di dibattito, poiché il Nuovo Testamento non offre informazioni circa il suo arrivo e la sua permanenza nell’Urbe, a differenza di quanto si verifica per il “soggiorno” romano di san Paolo, alla cui descrizione il Libro degli Atti dedica invece buona parte del capitolo conclusivo (At 28,14-31). Un’eccezione potrebbe essere rappresentata da 1Pt 5,13 – «Vi saluta la comunità che vive in Babilonia» –, a patto, però, di accettare l’equivalenza di “Babilonia” con Roma, ma su questo vi sono riserve da parte degli studiosi.
Secondo la tradizione ecclesiale, Pietro si dedicò alla predicazione. Eusebio di Cesarea († 340) riporta la testimonianza di Clemente Alessandrino († 215), per il quale «Pietro predicò la dottrina pubblicamente a Roma ed avendo esposto il Vangelo con l’aiuto dello Spirito, i suoi uditori, che erano numerosi, esortarono Marco, poiché era stato suo compagno da molto tempo e ricordava le sue parole, a trascrivere ciò che egli aveva detto. Lo fece e trascrisse il Vangelo» (Hist. Eccl. VI,14,5-7). Secondo Clemente, dunque, Pietro fu a Roma e la sua predicazione nell’Urbe sarebbe stata raccolta e messa per iscritto da Marco, suo “figlio fedele” (1Pt 5,13) nonché suo “interprete-segretario”, dando così origine al Vangelo di Marco. Sempre a Roma, con l’ausilio di Silvano, “il fratello fedele”, l’apostolo avrebbe composto lo scritto che è considerato il suo “testamento pastorale”: la Prima Lettera di Pietro.
Come e dove morì?
Mario Pancera afferma che «Pietro conclude la sua vita in maniera oscura, così come l’ha cominciata» (San Pietro. La vita, le speranze, le lotte, le tragedie dei primi cristiani, Milano 1983, p. 187). Un giudizio condivisibile, se si considera che gli scritti del Nuovo Testamento non riportano alcuna indicazione esplicita sulle circostanze della morte di Pietro (ma ciò non deve sorprendere, perché neppure di san Paolo si ricorda il martirio). Ancora una volta, dunque, occorre attingere alla tradizione ecclesiale, secondo la quale fu a Roma che trovarono conferma le parole del Vangelo di Giovanni, in cui si preannunciava il martirio di Pietro: “Questo disse [Gesù] per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio” (Gv 21,19; cf. Gv 13,36-38).
Clemente, quarto vescovo di Roma (87-97 d.C.), in una lettera ai cristiani di Corinto (95 d.C.), ricordava il martirio di Pietro e Paolo, avvenuto nell’Urbe. Riguardo al primo, Clemente precisò: «Pietro, che a causa di ingiusta invidia, sopportò non una ma molte pene, dopo aver reso una tale testimonianza, giunse al meritato luogo della gloria» (1Clem. 5,1-4). Secondo una tradizione raccolta dallo storico Eusebio, Pietro sarebbe stato crocifisso a testa in giù, su sua richiesta (Hist. Eccl., III,1,2), all’epoca dell’imperatore Nerone, probabilmente verso l’anno 64 d.C. Come luogo del martirio, è generalmente indicato l’ager Vaticanus, sulla sponda occidentale del Tevere, un quartiere abitato dalla popolazione povera della città. Riguardo al luogo di sepoltura delle spoglie mortali, così si esprime il presbitero romano Gaio (II-III sec. d.C.), parlando di Pietro e di Paolo: «Posso mostrarti i trofei [= i monumenti funebri] degli apostoli. Se tu infatti cammini sul Vaticano o per la strada che porta a Ostia, troverai i trofei di coloro che hanno fondato questa chiesa» (Hist. Eccl., II,25,1-7).
Si conclude così l’itinerario terreno di Simone, detto Pietro, il pescatore di Galilea che la storia conosce anche come “il principe degli apostoli”, l’uomo su cui Gesù posò il suo sguardo, chiamandolo a condividere la passione per l’annuncio del Regno e la salvezza di tutti gli uomini. Su di lui, il Signore ha voluto edificare la “sua” Chiesa, a lui ha chiesto di “pascere le sue pecore”, affidandogli il compito di proclamare a tutti, in ogni tempo e in ogni luogo, che «Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16).
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