Vogliamo vedere Gesù
“Vogliamo vedere Gesù” (Gv 12,22),
dicono questi uomini non appartenenti al popolo di Israele
- sono pagani simpatizzanti della fede ebraica -.
La domanda viene posta a Filippo (nome greco) di Betsaida
– città dogana, al confine col mondo pagano-,
forse nella speranza che quest’ultimo sia disponibile
e non abbia pregiudizio nei confronti di uno straniero.
Infatti Filippo non “chiude la porta”, ma va a consultarsi con Andrea.
Questi uomini vogliono “vedere” Gesù –
si usa il verbo horao, che significa “vedere in profondità”,
al di là delle apparenze -;
in questo caso è un sinonimo di conoscere.
Cosa intendono?
Lo vogliono incontrare?
Vogliono vedere segni e prodigi, come desideravano tanti altri?
Dopo tutte queste operazioni, Gesù sembra rimanere indifferente
e non dare risposta.
In realtà la risposta c’è ed è chiara:
“E’ venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. …
se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo” (12,23s).
Gesù preannuncia la croce,
la violenza che subirà a breve e che lo porterà alla morte;
lì Egli mostrerà se stesso;
lì lo conosceranno, proprio quando sembrerà fallire.
Dio si fa conoscere lasciandosi catturare, torturare e uccidere.
Cosa mostra Gesù di sé?
Cosa mostra di Dio Padre,
visto che ha detto: “Chi ha visto me, ha visto il Padre”?
Con la Sua vita e con la Sua morte Gesù demolisce in un attimo
l’immagine di un Dio onnipotente di cui avere paura.
Tanto spesso crediamo che Dio voglia da noi sforzi immani
che ci rendano perfetti e lo immaginiamo pronto a punirci per ogni errore.
Gesù, invece, rivela Dio che non chiede, ma dà se stesso,
che si sacrifica per la salvezza degli uomini.
Con la croce Gesù svela che per Dio,
la salvezza degli uomini viene prima di ogni cosa.
Facciamo fatica a capire il senso di queste parole,
per questo, come Gesù, prendiamo degli esempi dalla vita pratica
che possono aiutarci a comprendere.
Ricordate san Massimiliano Kolbe?
In seguito a una fuga di alcuni prigionieri dal campo di sterminio,
i Nazisti decisero di punirne altri a mo’ di esempio,
lasciandoli morire di fame.
Padre Massimiliano si offrì di subire quella morte spaventosa
al posto di un uomo, padre e marito.
In cambio della salvezza di un altro il nostro frate ha scelto di morire.
Forse che san Massimiliano non amava vivere?
Era forse un’amante della sofferenza?
No: ma la sua conoscenza di Dio era tale,
da scegliere di imitarlo fino in fondo.
San Massimiliano amava vivere,
ma amava ancor di più Dio e il suo prossimo.
Così Gesù; se fosse stato possibile,
avrebbe preferito non subire la passione:
“Padre, se è possibile, passi da me questo calice”;
"Adesso la mia anima è turbata;
che cosa dirò: Padre salvami da quest’ora?
Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora” (Gv 12,27).
Gesù ha offerto la sua vita per dare la libertà
a un’umanità ostaggio del demonio.
L’unico modo era quello di ingannare il diavolo,
facendogli ingoiare un boccone avvelenato.
Scrive Fabrice Hadjadj: “Se il diavolo l’avesse saputo,
non avrebbe abboccato all’amo:
quell’amo, con il suo uomo-verme …
non l’avrebbe ingoiato al punto di farsi strumento della Redenzione
e di essere egli stesso vinto per colpa di sé medesimo”
(Fabrice Hadjadj, La fede dei demoni, Marietti 37).
Con l’amore, Dio ha sconfitto definitivamente il maligno:
“Ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori” (Gv 12,31).
Quell’amore ha generato frutti.
Noi siamo figli di quell’amore, di quel seme caduto in terra.
Le parole di Gesù sono per noi:
“Se uno mi vuol servire, mi segua, e dove sono io,
là sarà anche il mio servitore” (12,26).
Non siamo chiamati a cercare la morte,
ma a camminare sulla via dell’amore.
Per far questo bisogna essere disponibili anche al rischio della sofferenza;
se facciamo di tutto per preservarci non ameremo mai.
Infatti l’amore porta con sé la sofferenza del perdono,
anche quando le ferite continuano a sanguinare;
della pazienza, quando l’altro continua a non voler capire;
del tempo perso ad aspettare le lentezze altrui;
della delusione da parte di coloro che dovrebbero esserci di consolazione;
del donare, senza nessun riconoscimento;
del mettersi in secondo piano,
per lasciar avanzare l’altro …
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