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Le imprevedibili conseguenze psicologiche per un bimbo nato dall'utero in affitto

Mentre le piazze si popolano e si dividono sul tema dei diritti delle persone omosessuali, vorrei sottoporre un punto di vista su una parte della questione oggetto di dibattito parlamentare, ovvero quella che si riferisce al cosiddetto "utero in affitto".
Premetto che mi batto da più di 30 anni in difesa dei diritti civili di chi si professa omosessuale. Fin dagli anni in cui la Società Internazionale degli Psichiatri annoverava ancora l'omosessualità tra le malattie mentali, fin da quando nei primi anni '80 in collaborazione con il Fuori denunciammo l'alto numero dei suicidi correlato a quella orrenda discriminazione sociale e culturale (erano gli anni della terribile diffusione di Hiv).
Nonostante l'assoluta necessità di provvedere a colmare questo grave vuoto legislativo però, nel dibattito riguardo ai - per me sacrosanti - diritti civili cui tutti i cittadini dovrebbero godere senza discriminazione sessuale o di reddito, si è voluto "infilare" una questione che non riguarda soltanto gli adulti, ma anche e soprattutto i bambini.
E mentre gli adulti hanno sindacati, partiti, lobby, i più piccoli non hanno portavoce, non sono ascoltati, e i loro diritti non sono presi in considerazione. Immaginiamoci di essere un/a bambino/a che ad un certo punto della sua crescita inizia a fare una domanda fondamentale, che implica una risposta sulla quale si fonda un diritto inalienabile della persona, "di chi sono figlio?", che risposta vorremmo?
Chiunque abbia adottato un bambino sa bene che si è obbligati a rispondere e a rispondere con parole di verità e che quel giorno è il più difficile e critico della loro vita genitoriale.
Oro vi chiedo: se, chiunque sia la persona che dovrà rispondere o la coppia di persone che si deve porre questo compito non può indicare una persona, ma soltanto un organo di una donna o una fialetta congelata che contiene sperma umano (il tutto ovviamente comprato), quale sarà la reazione emotiva di quel bambino/bambina? C'è qualcuno che se lo augurerebbe per se stesso?
La mia esperienza professionale mi dice che questa risposta costituisce un evento dalle ripercussioni psicologiche difficilmente prevedibili, in quanto sul contenuto di questa risposta si basa la costruzione dell'identità di ognuno di noi.
Come non tener conto del legame affettivo che si stabilisce tra un feto e una donna che lo ha in grembo per 9 mesi? Come si può pensare che esso possa essere trattato alla stregua di transito soltanto biologico, effimero e obbligato dalla volontà altrui?
Non si delinea forse come pratica eugenetica quella di chi decide (potendo economicamente, altro lato profondamente illiberale) di voler scegliere razza e magari fattezze (o chissà quali altri fondamentali) della donna che dovrà "ospitare" il nascituro? Perché Elton John e il suo compagno non hanno scelto una donna nera per assolvere al loro "istinto genitoriale"?
Queste mie riflessioni non inficiano certo nessun'altra considerazione in merito alla capacità educativa di una coppia eterosessuale o omosessuale (non è certo l'appartenenza di genere a fare di un genitore un buon educatore, come dimostrano gli innumerevoli fallimenti educativi delle famiglie eterosessuali), ma vogliono essere semplicemente un richiamo affinché il buon senso non dipenda dalle mode, dagli egoismi adultocentrici o, peggio, dalle necessità di marketing di certa scienza capace, pur di aumentare a dismisura i propri consumatori, di prospettarci un futuro orwelliano.

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