La "petalosa" tirata d'orecchi di Matteo alla nostra accidia
di Maddalena Negri
“Petaloso”: un'idea geniale e semplice, che ha iniziato a circolare per la rete, in particolare come hashtag su Twitter.
La sua nascita: il quaderno di un bambino di 8 anni di Copparo (FE). L’esercizio, classico a quell’età, era quello di affiancare due aggettivi a dei nomi (di solito assegnati dall’insegnante). Un modo tendenzialmente facile per far comprendere ai bambini l’utilità e la funzione degli aggettivi qualificativi; eventualmente, anche un modo per arricchirne il vocabolario e consolidarne le conoscenze lessicali.
Il piccolo Matteo è però andato oltre: grazie alla sua fantasia e caparbietà e, probabilmente, grazie ad una buona dose di “faccia tosta”, è andato oltre: per lui, il fiore, oltre ad essere profumato, può definirsi anche “petaloso”.
Questo episodio mi fa ricordare un evento simile: eravamo ad una colonia estiva, con alcuni bambini d elle scuole elementari e medie e, dopo pranzo, ci dedicavamo ai compiti delle vacanze. Un’intera settimana fu rallegrata, per un motivo simile, tanto che adesso la ricordo con piacere: un bambino, alla richiesta, di trovare un aggettivo per la carta vetrata rispose, istintivamente: “grattosa!”, per indicarne la ruvidezza.
Chissà che un giorno, anch’essa possa trovare diritto di cittadinanza, all’interno del dizionario della lingua italiana. Del resto, il collega inglese è decisamente ricco di termini (aggettivi, sostantivi e verbi) direttamente derivati dalle onomatopee che li designano.
Un applauso è doveroso riservare anche alla maestra. Categoria tante volte giustamente incriminata, spesso incompresa, talvolta giustamente rimproverata. In questo caso, merita davvero una menzione speciale, per la sua grande sensibilità, elasticità e capacità di comprensione dell’individualità sempre diversa con cui ha a che fare, in modo quotidiano. Nonostante le mille questioni burocratiche a cui far fronte, i programmi ministeriali da rispettare, questa maestra con lo stesso nome della mamma di Don Bosco (Margherita) è stata in grado di scrivere un laconico ma meraviglioso commento: “1 errore bello!!. Ha mostrato di avere la sensibilità di capire il genio fantasioso e logico, che può nascondersi dietro alla banalità di un compito scolastico e andare oltre il vacuo nozionismo,c he, purtroppo, spesso caratterizza, invece, l’ambiente scolastico.
Un commento breve ma capace di mandare messaggi importanti e mai ridondanti: non tutti gli errori sono uguali, ma - attraverso gli errori - non solo si impara ma è - addirittura! - possibile far crescere con noi chi ci sta intorno e, in questo, un bambino ci ha davvero “bagnato il naso”: mentre noi ci lasciamo incantare dalla lingua inglese con idolatra esterofilia, lui è riuscito a ricavare il meglio da un dovere scolastico; dando spazio alla fantasia, non ha dimenticato la logica e la sua creatività è stata premiata dall’Accademia della Crusca, che gli ha fatto notare che, se diffusa ed utilizzata, questa nuova parola ha tutte le carte in regola per poter diventare un nuovo lemma della “nostra bella lingua italiana” (è buffo: quasi tutti gli stranieri si trovano ad apostrofarla così, quasi istintivamente, mentre noi tendiamo a sminuirla ad ogni piè sospinto!).
È impossibile non pensare a quanti vocaboli stranieri siano ormai entrati prepotentemente e, alle volte, ahimè, inutilmente, nella lingua italiana: Perché insistere ad utilizzare, a tutti i costi, termini stranieri, invece di inventarne - piuttosto - di nuovi, per indicare nuovi oggetti nella nostra lingua?
Matteo ci ricorda che la lingua, che abitualmente utilizziamo per comunicare con i nostri simile non è qualcosa di statico od un dato di fatto acquisito ed immutabile: si tratta, piuttosto, di uno strumento dinamico ed un’opportunità a nostra disposizione, flessibile ed abituato a cambiare, per adattarsi alle necessità dei parlanti.
Così morì il latino, così nacque il volgare. Così, convissero piuttosto pacificamente, per secoli, procedendo su binari paralleli, termini di origine “dotta” e di origine “popolare”. Quasi a suggerirci che spazio per tutti ce n’è sempre stato, nella lingua di Dante e di Boccaccio, ancor prima che Bembo o Castiglione si dessero prima di codificare una lingua “letteraria” che fosse sufficientemente elegante da poter competere col più antico ed altisonante latino, che spadroneggiava nelle università e nelle pubblicazioni più prestigiose.
Del resto, il Sommo poeta ebbe modo di affermare, in tempi non sospetti, la superiorità del volgare al latino proprio in virtù della sua anteriorità nell’apprendimento e nella sua “naturalità”. Proprio questo, dovrebbe suggerirci che i bambini, forse più degli adulti (“corrotti” da un utilizzo della lingua fin troppo avvezzo ai tecnicismi e ai gerghi di settore) sono in grado di comprendere e portare al massimo livello possibile le potenzialità dello strumento linguistico che, tuttavia, anche noi utilizziamo tutti i giorni. La lingua italiana è tale perché è nostra: è questione che riguarda tutti, nessuno escluso. E ciascuno di noi, nel proprio piccolo, può (e, in un certo senso, deve) conservarla, ma anche arricchirla in un processo hegeliano di conservazione e superamento che avvengono all’unisono: l’unico modo possibile per mantenere un sistema linguistico vivo e ricco di espressività.
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