Quell'occhio in comune anche col nemico
di Gian Carlo Olcuire

Le immagini, oltre a riprodurre la realtà, possano aiutarci a sognarla. Dando forma a quei cieli nuovi e terra nuova verso cui tendiamo



24 aprile

AMARE I NEMICI 

«Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,31-33a.34-35)

Continua, nelle domeniche tra Pasqua e Pentecoste, l'invito a essere una cosa sola, sull'esempio del Padre e del Figlio, dei discepoli e del maestro, del pastore e delle pecore... E quest'opera lo conferma, spingendosi all'amore verso i nemici o, se si pensa di non avere nemici, alla fiducia nelle persone di cui non ci si fida.
A più d'uno sarà venuto in mente il logo dell'Anno della Misericordia, dello stesso autore, che ripropone il motivo dell'occhio in comune tra due volti. Per «guardare insieme nella stessa direzione» (Antoine de Saint-Exupéry).
Sebbene quest'occhio non... balzi troppo all'occhio, sia qui che nel logo, è una gran bella pensata, al livello degli innamorati di Chagall in volo sulla città. A riprova del fatto che l'immaginazione riesce a modificare la realtà.
Di certo, al realista sembrerà surreale o, al peggio, una disgrazia da gemelli siamesi, ma chi crede nell'impossibile vede altro: più che uno scherzo della natura, uno scherzo alla natura. Un'utopia, come quella del lupo che dimorerà con l'agnello (Is 11,6). Se vogliamo, un miraggio irraggiungibile... «ma solo i miraggi hanno messo in moto le carovane»(Henri Desroche).
C'erano già stati, nella storia dell'arte, dei tentativi di unione di più volti (una Trinità a Giornico, nel Canton Ticino, con tre teste e quattro occhi; un Giano trifronte nell'aula gotica dei Santi Quattro Coronati, a Roma...), ma avevano prodotto delle creature vagamente mostruose. Qui il risultato è più accettabile e va apprezzato.
Anzitutto perché dimostra come le immagini, oltre a riprodurre la realtà, possano aiutarci a sognarla. Dando forma a quei cieli nuovi e terra nuova verso cui tendiamo. Poi perché è una metafora nuova, che rinuncia alle solite associazioni (ad es. a dire amore con il cuore, fratellanza con la stretta di mano tra bianco e nero, comunità con le tessere di puzzle che si incastrano...). Infine perché fa capire meglio che cosa vuol dire amare.
Se, per non amarsi, basta poco - un'altra pelle, un'altra squadra, un'altra scelta politica... -, per amarsi non basta condividere delle appartenenze. Quest'occhio scommette sull'appartenersi, invoglia a costruire un modo di vedere comune, cioè mio e tuo, non solo mio e non solo tuo. Con una forzatura che lascia segni sul corpo, ben più di un anello o di un tatuaggio.

Come si arriva a tanto? Attraverso due gesti: col primo - di rifiuto - si depone ogni tipo di arma e di paura, mentre col secondo - di accoglienza - si prende l'altro con sé, sotto la propria protezione.

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