di don Marco Pozza

Non volle affatto che la sua Grazia abbisognasse di qualcuno. In vita sua, mai accettò di diventare proprietà-privata di alcuno, nemmeno dei suoi più fidati amici. Per questo organizzò il suo mondo-di-parabole:«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano» (Lc 18,9-14). Una storia d'uomini, d'intenti. Non solo. Ai suoi attori-protagonisti non regala mai la luce solo per svagare i sensi ma perchè, ridendo di loro e con loro, ognuno faccia la sua scelta: «Ascoltarla, codesta parola, non è nulla; accoglierla con amore non è nulla: custodirla è tutto. Custodirla contro lo spirito impuro, uno e molteplice, formicolante» (F. Mauriac). Dio – così duro coi farisei, così dolce coi piccoli – nel frattempo si tiene libero: non è tenuto a nessuna giustificazione in merito.
Racconta storie per raccontare di Lui, dei suoi misteri, dei modi variopinti che gli uomini hanno per ri-volgersi a lui. Mai un tentativo, da parte sua, di fare impressione sull'uditorio. Sulle labbra solamente parole scarne, pancia-a-terra, come di chi ha udito ben affinato. Nel mondo fariseo«O Dio, ti ringrazio perchè non sono come gli altri uomini». In quello pubblicano«O Dio, abbi pietà di me peccatore» (liturgia della XXX^ domenica del tempo ordinario). Farsi belli abbruttendo gli altri – lavando bene i piatti, pulendosi i gomiti, non mangiando carne il venerdì, carciofi a colazione - è una logica che nei Vangeli non arreca salvezza: col Cristo nessuno dev'essere generale se prima non ha prestato servizio nei ranghi. Diventare presenti a se stessi – ch'è la grande grazia della lucidità, il costringere il peccatore a rimasticare la sua vergogna – questa sì che è cagione di salvezza: «Questi, a differenza dell'altro, tornò a casa sua giustificato». L'altro, a ragione di logica, non-giustificato: una mezza-condanna, dunque. A far la differenza tra salvezza e dannazione è una sfumatura nell'uso dei pronomi, quelli più elementari: l'io e il tu.Dall'io - «Io ringrazio, io non sono come lui, io digiuno, io pago» - al tu: «(Io pecco), tu perdonami». Fino a sfidare il buon senso dando del tu a Dio: questo è il fatto serio della preghiera, la gran eversione che i bastardi annotarono sul conto del Cristo come gran-bestemmia. Un Dio per i miserabili: questo no, era troppo.
Nella guerra franco-prussiana - si viveva la stagione nella quale la Francia prendeva botte ovunque – sono in molti a bussare al convento per parlare con Bernardette: le chiedono risposte decisive, finali. Nel 1870 il cavaliere Gougenot des Mousseaux s'informò se alla grotta di Lourdes avesse avuto rivelazioni in merito al futuro della nazione. La santa-donna disse no, nemmeno i prussiani-alle-porte le incutevano paura: «Io non temo che i cattivi cattolici» rispose. I cattivi-cattolici, l'altra faccia della cattiveria-dei-buoni: di chi vuol possedere a tutti i costi una cosa la cui bontà non è sua, di chi è disposto a tramutare anche Dio in proprietà-privata, fino ad ammazzare Dio in nome di Dio. Fino al punto da tener l'uomo in schiavitù, vendendogli come carità ciò che, in realtà, altro non è che l'egoismo di far diventare grande se stesso rimpicciolendo il fratello: «Per guadagnarsi il titolo di benefattori – scriveva, con penna ruggente, don Primo Mazzolari -, per farsi pagare il servizio di recupero, lo buttano a terra e lo fanno a pezzi, l'uomo». In corso d'opera, l'uomo ha mostrato d'aver molti corteggiatori e ben pochi amici: Cristo gli è amico, ci parla con franchezza, con sincerità.
Più che a dare, aver fede sarà questione d'esser pronti a ricevere: non sono io che faccio-cose-per Dio - “Dio, ricorda bene cosa ho fatto per te” -, è Dio che fa-cose per me, nobis quoque peccatoribus. Iniziò così, nel paese delle parabole, il più beffardo tra gli sgarbi di Cristo ai farisei: il più piccolo, in fronte al più grande, diventerà eterno. La storia cambia verso: «Chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato». Datemi il vostro nulla, vi darò il mio Tutto: il contrario - la cattiveria dei buoni – impauriva anche santa Bernardette.

(da Il Sussidiario, 23 novembre 2016)
     
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