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Quei parroci così oberati e così «matti» da voler fare semplicemente i preti
Le nostre voci di Marina Corradisabato 18 novembre 2017
Caro Avvenire,
ho trovato in libreria un romanzo dal titolo accattivante: “Il Signor Parroco ha dato di matto” (autore Jean Mercier, San Paolo edizioni). Devo dire che ero molto curioso di leggerlo proprio per il titolo e che l’ho letto tutto di un fiato. Questo parroco, Beniamino, decide di andarsene dalla sua parrocchia di notte, letteralmente murandosi vivo come i mistici del Medioevo in una zona sconosciuta della parrocchia. Si era accorto che il suo modo di essere parroco centrato sull’importanza della preghiera, dei Sacramenti e della Confessione in particolare, andava contro lo stile di vita e le esigenze dei suoi parrocchiani. Alcuni dei quali lo volevano mandare via. E proprio rimanendo in questo luogo singolare, comunicando con una piccola feritoia all’esterno, il sacerdote ritrova il gusto di incontrare la gente, che fa la fila per poter parlare e confessarsi da lui. E la stessa gente riscopre la bellezza dell’umanità di Beniamino tornando a confessarsi dal suo pastore. A volte dare di matto produce i suoi benefici effetti! Non aggiungo il resto con un bel finale a sorpresa, ma faccio alcune considerazioni. Questo testo entra nel cuore di tanti problemi dei preti. Subissati da riunioni, incontri, problemi per chi deve mettere i fiori, fatiche con i superiori per gelosie o invidie, il parroco dimentica lo scopo della sua missione. Diventa un tuttofare e non un uomo di Dio. Si ferma alla stregua di mille altri che cercano solo di soddisfare i bisogni delle persone, senza di fatto vivere una vera missione. Vorrebbe testimoniare Gesù, ma rimane imbrigliato da tutto ciò che distoglie da questo cammino. È costretto a puntare al ribasso. Beniamino vorrebbe che tutti i genitori dei ragazzi che vivono la prima Comunione celebrassero prima la Riconciliazione, ma questa proposta suscita una reazione negativa nei suoi confronti. La stessa gente, dopo che il parroco è “impazzito”, ri- scopre la sua vera figura, capace di mettere al centro le relazioni e il rapporto con Dio. Mi piacerebbe che questo libro umoristico, ma realistico, fosse oggetto di incontri tra preti. Susciterebbe ilarità, ma servirebbe a noi parroci per fare una seria riflessione, con un pizzico di umorismo, sul vero scopo della nostra missione.
don Luigi Trapelli, Parroco di San Benedetto di Lugana (Verona)
Caro don Luigi, il suo don Beniamino dapprima mi ha fatto venire in mente un celebre parroco che fuggì dalla canonica, il santo curato d’Ars. Giovanni Maria Vianney scappò un giorno in preda ai suoi dolorosi tormenti interiori, ma i parrocchiani del borgo di Ars non ci pensarono due volte a andarselo a riprendere, con i forconi in pugno.Forse però il “colore” di questo Beniamino è più simile a quello di un don Camillo, giocato sul sorriso. E tuttavia Beniamino scappa, e si rifugia in un ritiro monastico. Parlando con dei sacerdoti ho avuto a volte sentore di un malessere che si allarga tra loro: troppi impegni, riunioni, troppo daffare a coordinare i laici, e troppo poco il tempo che resta per essere semplicemente e profondamente ciò che il prete ha da essere, volto di Cristo fra gli uomini. Non ho letto il libro, ma provo tenerezza per questo sacerdote che fugge, non in cerca di altro, ma semplicemente per cercare di fare il prete davvero. Lei, don Luigi, dice che questo Beniamino potrebbe essere uno spunto di riflessione per tanti suoi confratelli assediati dagli impegni. Riporto volentieri il suo suggerimento. Non so però quanto sia concretamente possibile a un parroco sottrarsi a tutto il fare materiale che gli compete. Per questo mi permetto di augurare a lei e agli altri il dono del don Camillo di Guareschi: quel suo familiare entrare in chiesa e fermarsi a discorrere assieme al Crocefisso. Così, semplicemente, come si va a trovare un amico. Discutendo, arrabbiandosi anche magari – proprio come si fa con un amico. Ho sempre invidiato tantissimo a don Camillo quella sua straordinaria abitudine. Perché con Dio tutti cerchiamo di parlare, ma don Camillo era certo di essere ascoltato, e percepiva addirittura la risposta. Una fede così, auguro ai parroci oberati da carte e richieste. Una fede semplice e robusta come quella del massiccio sacerdote reso indimenticabile da Fernandel. Senza bisogno di fuggire, e anzi restando ben piazzato in parrocchia: dove, di un sacerdote, abbiamo così assolutamente bisogno.
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